domenica 29 marzo 2009

Federico del prete un eroe picco piccolo

"Non posso farlo, perché non avrei più la forza di guardare in faccia le persone che hanno creduto in me": con queste parole Federico Del Prete rispondeva al fratello Vincenzo, che lo esortava a partire per il Venezuela, a fuggire da una situazione di grave minaccia in cui viveva ormai da molto tempo e che si sarebbe tragicamente conclusa, solo una settimana dopo, con la sua barbara uccisione.
Federico era un uomo che il magistrato Tullio Morello (giudice del tribunale di Napoli) non ha esitato a definire "uno dei migliori cittadini italiani, tanto esposto non nell'interesse proprio ma per quello della collettività".
"Un eroe piccolo piccolo": l'espressione più bella, usata per lui, è della brava e coraggiosa Rosaria Capacchione, che ne ha raccontato la storia con tenacia e passione, quando la notizia destava interesse se non nella ristretta area di Caserta, giungeva mestamente e distrattamente a Napoli e provincia, probabilmente neanche arrivava a Salerno, Avellino, Benevento.
La grandezza di questa figura stava nell'umiltà e nella dignità. Federico era umile perché si dedicava con serietà e passione ad un mestiere semplice, che non prometteva successo sociale e lauti guadagni, specie se condotto onestamente. Era dignitoso perché rivendicava per il suo lavoro la libertà e la tutela da ogni forma di sopraffazione.
Federico viveva, però, in terra di camorra. L'integrità ha un prezzo in terra di camorra. Anzi, ne ha due.
Uno è la mesta rassegnazione che induce alla fuga, oppure deprime lo spirito e si esaurisce in un silenzio impotente e complice, che a poco a poco spegne l'intelligenza e la voglia di pensare e capire.
Se, però, non sei disposto a pagare questo prezzo, se non vuoi barattare una parvenza di tranquillità con la tua dignità e il rispetto verso te stesso, allora sei costretto a pagare l' altro prezzo, più grande, forse: la tua vita.
Federico aveva scelto la seconda strada. Non ce la faceva a rinunciare alla sua dignità, alla libertà di esercitare il suo mestiere senza condizionamenti e nel rispetto della legge.
Federico, infatti, è morto. In poche occasioni è stato ricordato in seguito: una cerimonia commemorativa un anno dopo, alcuni trafiletti delle cronache locali, in occasione delle alterne vicende processuali che interessavano i responsabili del suo assassinio, dal 2005 fino ad oggi. E' tuttora in corso il processo contro Antonio Corvino, il pentito che si è autoaccusato dell'assassinio e che ha recentemente chiesto perdono ai familiari.
Poi c'è Roberto Saviano, che, spesso e quasi ossessivamente, ripete il nome di Federico Del Prete come uno degli esempi migliori di coraggio della sua terra e reclama attenzione per la sua storia dimenticata.
Assecondando questa ossessione, ti viene voglia di informarti, sapere e, se puoi, raccontare e ricordare. E' difficile, però, ricordare Federico, perché pochi, troppo pochi ne hanno parlato. Per trovare informazioni particolareggiate, bisogna scandagliare bene le fonti. Nel web, per esempio, si trovano quasi solo articoli delle cronache locali, redatti all'indomani dell'uccisione, tutti (o quasi) più o meno generici e poco dettagliati.
Eppure Federico, nella sua semplicità, aveva fatto tanto, davvero tanto.
Veniva da Frattamaggiore, in provincia di Napoli, si era sposato a Casal di Principe (Caserta) e qui viveva con la moglie e i figli. Il suo mestiere era quello di commerciante ambulante di vestiti.
In una terra che vede nei commercianti ambulanti spesso un simbolo di folklore, un emblema dell'arte di arrangiarsi, addirittura un nemico da cui difendersi, nella percezione dei turisti o degli ottusi malcapitati del Nord (non tutti, non facciamo di un'erba un fascio), Federico prendeva il suo lavoro seriamente e lo svolgeva onestamente e nel rispetto delle regole. Soprattutto, non capiva perché avrebbe dovuto pagare il pizzo alla camorra e non ammetteva l'illegalità. In molte occasioni aveva fatto sentire la sua voce, spessissimo rivendicava la protezione delle autorità e delle forze dell'ordine.
Militava nel sindacato, ma presto decise di staccarsi dalle organizzazioni più grandi, per fondare un proprio sindacato autonomo, lo SNAA, Sindacato Nazionale Autonomo Ambulanti, ovvero un'organizzazione volta a tutelare una categoria, appunto, particolarmente debole, soggetta ai ricatti della criminalità. Ad un anno dalla sua creazione, il sindacato SNAA contava ben tremila iscritti. In seguito alla sua morte, i Sindacati confederati neanche hanno mai più ricordato Federico: proprio lui che si batteva per difendere, come loro, i più deboli.
La sua ossessione erano gli abusivi, i venditori senza licenza che occupavano le aree libere dei mercati. Contro l'abusivismo e contro il pizzo chiesto dalla camorra, aveva, infatti, organizzato una manifestazione presso il mercato di via Taverna del Ferro - altrimenti detto "il Bronx" - a Napoli: numerosi commercianti vi aderirono, fu un grande successo. Tutto è stato, poi, dimenticato.
Presso il mercato di Mondragone (Caserta) intendeva, naturalmente, fare lo stesso. L'abusivismo non era consentito dalla legge e lui lo combatteva. Il pizzo era inaccettabile (oltre che illegale) e lui lo denunciava. Qui, però, la camorra, o meglio "o sistema", era rappresentata dalla più feroce organizzazione criminale del mondo (oggi è, così, universalmente e unanimemente riconosciuta): i Casalesi. Citando nuovamente Rosaria Capacchione, qui le mazzette erano qualcosa di più di un semplice sistema di corruzione e il riserbo, anzi l'omertà era un credo per la gente comune.
Segnalava continuamente denunce per estorsioni alla fiera di Mondragone e presentava puntualmente decine e decine di esposti alle stazioni dei carabinieri di mezza Campania e negli uffici di polizia. Un altro suo cavallo di battaglia era la gestione delle aree comunali destinate ai mercati. La fonte più preziosa di informazioni erano le segnalazioni degli iscritti al suo sindacato sulla discrezionalità nell'attribuzione dei posti agli «spuntisti» (gli ambulanti occasionali, come lui stesso era stato) e sulle tassazioni richieste. L'ultima denuncia, ad esempio, riguardava le tariffe applicate dalla Sirtac (la società che gestisce la riscossione dei tributi sull'occupazione dei suoli pubblici a Casal di Principe e Villa Literno).
Un altro coraggioso atto fu la denuncia del business da 5 milioni di euro all'anno per i clan prodotto dalle buste di plastica imposte nei mercati settimanali della Campania. Nelle fiere, aveva spiegato agli inquirenti, messaggeri di ditte legate alla camorra imponevano le buste di plastica a 5 euro al chilo, quando alla fonte costavano appena 1 euro e 23 centesimi.
Anche nel caso di Federico, però, la vicenda che ha determinato la decisione di ammazzarlo da parte dei clan è stata una brutta storia di racket. Aveva denunciato senza paura il vigile urbano Mattia Sorrentino, esattore presso il mercato per conto del clan La Torre, successivamente condannato (13 anni in primo grado, ridotti a 5 anni e 8 mesi in appello). Sorrentino era una figura a dir poco "imbarazzante": vigile urbano, condannato per ricettazione di materiale archeologico, parente di Filoso, un esponente del clan La Torre. Nonostante ciò, Sorrentino era stato promosso ai gradi di maresciallo. Suo figlio era, all'epoca dei fatti, consigliere comunale del centro-destra. Federico riuscì a far arrestare Sorrentino, raccogliendo le testimonianze dei numerosi iscritti al suo sindacato, spesso ricorrendo al sistema delle intercettazioni ambientali, un oltraggio inaccettabile per i clan. Per di più, Federico avrebbe dovuto testimoniare al processo contro Sorrentino, in un'udienza fissata per il 19 Febbraio 2002, il giorno dopo la sua morte.
Era, dunque, il momento di fermarlo. A Gennaio gli bruciarono l'auto.
Come Saviano ha raccontato al festival di Ferrara: " prima di ucciderlo, i clan fecero una specie di sondaggio per capire se i giornali avrebbero parlato o meno di lui. Quando ebbero verificato che nessuno ne avrebbe riferito se non i giornali locali, i soliti cronisti di nera, diedero l'ordine di morte".
Erano le 19,30 quasi, era il 18 Febbraio 2002. Federico parlava al telefono negli uffici, in via Baracca a Casal d Principe, che lo Snaa condivideva con un'altra associazione: quattro sicari fecero irruzione, gli spararono in volto e al petto. Pochi minuti dopo arrivò il figlio Vincenzo, dopo aver visto la scena uscì per strada, chiese aiuto, ma i numerosi passanti - come racconta lui stesso - fecero finta di non sentire e si voltarono dall'altra parte.
Ai funerali, la famiglia dovette subire un identico isolamento. Gli oltre tremila iscritti al sindacato erano tutti assenti, ad eccezione di una manciata ridottissima di coraggiosi convenuti. I militanti del suo sindacato, spesso confortati e concretamente aiutati da Federico, "quelli che non avrebbe avuto più la forza di guardare in faccia se fosse partito", al processo, negarono persino di essere iscritti, anche quando venivano messi di fronte alla prova schiacciante delle intercettazioni . Usciti dall'aula, come racconta lo stesso Saviano, si avvicinavano alla moglie di Sorrentino e chiedevano: "Signò, ho detto bene?"
Non c'erano i tanti politici che avevano assicurato la loro presenza (tra questi persino Violante, che aveva detto "verrò da questo eroe sconosciuto"). C'erano, però, tanti carabinieri a protezione della famiglia. C'era anche Roberto Saviano, che dalla disperazione di quella solitudine ha tratto una bellissima lettera, idealmente indirizzata a Federico.
Il parroco che officiava la messa era Don Franco Picone, l'erede di don Giuseppe Diana, ammazzato otto anni di prima dalla camorra. Don Franco elogiò l'esempio di vita di Federico, anche come cristiano, perché "nel vangelo non c'è scritto fatti i fatti tuoi, ma aiuta il prossimo, e lui l'ha fatto". Eppure, poco dopo la sua morte, molti dissero addirittura che era colluso con i camorristi.
Federico è stato ammazzato non solo per quella specifica vicenda di racket, ma perché era un personaggio libero e onesto, e, quindi, scomodo. E' stato spesso elogiato dagli investigatori come validissimo aiuto nelle loro indagini. I rappresentanti dello Stato, che lottano quotidianamente contro la criminalità, lo hanno rimpianto e lo rimpiangono tuttora. Lo Stato, però, lo ha dimenticato.
Me lo dicevi: "Robbè fuj, vattenne, via da qua. Qui al sud è impossibile vivere come un uomo". Quando ti rispondevo: "perché non te ne vai prima tu? Perché tu non emigri?" La tua risposta metteva paura: "io sono finito Robbè, io o vado avanti sino in fondo o è come se non avessi fatto niente. Ma tu puoi andartene. Puoi non farti fottere da questi." La tua era una battaglia disperata. Non pensavi di sconfiggerli ma almeno di far emergere qualcosa perchè non poteva sempre andare come sempre, non poteva tutto rimanere immutato. Non possono sempre essere loro a decidere, non può tutto andare come volevano. Sapevi che doveva pur esserci un modo per fermare i politici, i costruttori e le loro alleanze cementate con i clan...(Roberto Saviano, Nazione Indiana)
Forse, è venuto il tempo di ricordarlo, questo eroe piccolo piccolo.
di Mariella Di Stefano
[

sabato 28 marzo 2009

vittime innocenti uccisi dalla camorra per non dimenticarli

Salvatore Nuvoletta, carabiniere, 2 luglio 1982.
Franco Imposimato, sindacalista, 11 ottobre 1983.
Ignazio De Florio, agente penitenziario, 11 ottobre 1983.
Salvatore Squillace, studente sedicenne, 10 giugno 1984.
Giancarlo Siani, giornalista, 23 settembre 1985.
Carmelo Ganci e Luciano Pignatelli, carabinieri, 4 dicembre 1987.
Alfonso Romano, meccanico, 23 aprile 1990.
Antonio Nugnes, assessore a Mondragone, 11 luglio 1990.
Salvatore Richiello, operaio, 18 aprile 1991.
Michele Richiello, operaio, 18 parile 1991.
Angelo Riccardo, studente, 21 luglio 1991.
Gennaro Falco, medico, 29 ottobre 1993.
Don Peppino Diana, sacerdote, 19 marzo 1994.
Michele Miraglia, imprenditore, 19 febbraio 1996

venerdì 27 marzo 2009

om'merda

dedicata ai tutti Campani onesti

Om’ merda,
•Che spari alle spalle ,
•Per uccidere
• non per i tuoi desideri,
•Ma per volere di altri
•Ti sei sporcato le mani
•Del sangue d’innocenti,
•Come solo i vili sanno fare ,
•ti chiamano uomino d’onore,
•ma l’onore è altra cosa ,
•Puoi ammazzare un uomo …..ma non la sua idea

giovedì 26 marzo 2009

per non dimenticare

LA mattina del 19 marzo del 1994 don Peppino era nella chiesa di San Nicola, a Casal di Principe. Era il suo onomastico. Non si era ancora vestito con gli abiti talari, stava nella sala riunioni vicino allo studio. Entrarono in chiesa, senza far rimbombare i passi nella navata, non vedendo un uomo vestito da prete, titubarono.Chi è Don Peppino?Sono io...Poi gli puntarono la pistola semiautomatica in faccia. Cinque colpi: due lo colpirono al volto, gli altri bucarono la testa, il collo e la mano. Don Peppino Diana aveva 36 anni. Io ne avevo 15 e la morte di quel prete mi sembrava riguardare il mondo degli adulti. Mi ferì ma come qualcosa che con me non aveva relazione. Oggi mi ritrovo ad essere quasi un suo coetaneo. Per la prima volta vedo don Peppino come un uomo che aveva deciso di rimanere fermo dinanzi a quel che vedeva, che voleva resistere .........

Roberto saviano

riflettiamo

mercoledì 25 marzo 2009

saffo

A me pare uguale agli dei A me pare uguale agli dèi chi a te vicino così dolce suono ascolta mentre tu parli e ridi amorosamente. Subito a me il cuore si agita nel petto solo che appena ti veda, e la voce si perde sulla lingua inerte. Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle, e ho buio negli occhi e il rombo del sangue alle orecchie. E tutta in sudore e tremante come erba patita scoloro: e morte non pare lontana a me rapita di mente. Saffo

dante allighieri

Amor, che movi tua vertù Amor, che movi' tua vertù da cielo come 'l sol lo splendore, che là s'apprende più lo suo valore dove più nobiltà suo raggio trova; e come el fuga oscuritate e gelo, così, alto segnore, tu cacci la viltate altrui del core, né ira contra te fa lunga prova: da te conven che ciascun ben si mova per lo qual si travaglia il mondo tutto; sanza te è distrutto quanto avemo in potenzia di ben fare, come pintura in tenebrosa parte, che non si può mostrare né dar diletto di color né d'arte. Feremi ne lo cor sempre tua luce, come raggio in la stella, poi che l'anima mia fu fatta ancella de la tua podestà primeramente; onde ha vita un disio che mi conduce con sua dolce favella in rimirar ciascuna cosa bella con più diletto quanto è più piacente. Per questo mio guardar m'è ne la mente una giovane entrata, che m'ha preso, e hagli un foco acceso, com'acqua per chiarezza fiamma accende; perché nel suo venir li raggi tuoi, con li quai mi risplende, saliron tutti su ne gli occhi suoi. Quanto è ne l'esser suo bella, e gentile ne gli atti ed amorosa, tanto lo imaginar, che non si posa, l'adorna ne la mente ov'io la porto; non che da sé medesmo sia sottile a così alta cosa, ma da la tua vertute ha quel ch'elli osa oltre al poder che natura ci ha porto. È sua beltà del tuo valor conforto, in quanto giudicar si puote effetto sovra degno suggetto, in guisa ched è 'l sol segno di foco; lo qual a lui non dà né to' virtute, ma fallo in altro loco ne l'effetto parer di più salute. ' Dunque, segnor di sì gentil natura che questa nobiltate che avven qua giuso e tutt'altra bontate lieva principio de la tua altezza, guarda la vita mia quanto ella è dura, e prendine pietate, ché lo tuo ardor per la costei bieltate mi fa nel core aver troppa gravezza. Falle sentire, Amor, per tua dolcezza, il gran disio ch'i' ho di veder lei; non soffrir che costei per giovanezza mi conduca a morte; ché non s'accorge ancor com'ella piace, né quant'io l'amo forte, né che ne li occhi porta la mia pace. Onor ti sarà grande se m'aiuti, e a me ricco dono, tanto quanto conosco ben ch'io sono là 'v'io non posso difender mia vita: che gli spiriti miei son combattuti da tal ch'io non ragiono, se per tua volontà non han perdono, che possan guari star sanza finita. Ed ancor tua potenzia fia sentita da questa bella donna, che n'è degna; ché par che si convegna di darle d'ogni ben gran compagnia, com'a colei che fu nel mondo nata per aver segnoria sovra la mente d'ogni uom che la guata.

sabato 21 marzo 2009

per un'istante d'estasi

Per un istante d'estasi
Noi paghiamo in angoscia
Una misura esatta e trepidante
,Proporzionata all'estasi.
Per un'ora dilettaCompensi amari d'anni,
Centesimi strappati con dolore,
Scrigni pieni di lacrime.

(dickinson)

lunedì 16 marzo 2009

domenica 15 marzo 2009

ho difeso il mio amore nomadi

Queste parolesono scritte da chi
non ha visto più il soleper amore di lei.
Io le ho trovate in un campo di fiori.S
opra una pietra c’era scritto così:
Ho difeso ho difesoil mio amore il mio amore.
C’era una datal'otto di maggio,lei era bella,era tutto per lui.
Poi venne un altro,
gliela strappa di mano cosa poi sia successo lo capite anche voi.
Ho difesoho difesoil mio amore il mio amore.
Questa è una storiache finisce così sopra una
pietra che la pioggia bagnò.
Son tornato una nottee ho sentito una voce,
il grido di un uomoche chiedeva perdono.
Ho difesoho difeso il mio amore il mio amore.
Ho difesoho difeso il mio amore il mio amore.


http://www.youtube.com/watch?v=pMdVpPY7_FE&feature=related


o capitano mio capitano

Di WALT WHITMAN (1865)
O Capitano! mio Capitano!
il nostro viaggio tremendo è finito,
La nave ha superato ogni tempesta,
l'ambito premio è vinto,Il porto è vicino,
odo le campane, il popolo è esultante,
Gli occhi seguono la solida chiglia,
l'audace e altero vascello;
Ma o cuore! cuore! cuore!
O rosse gocce sanguinanti sul ponteDove è disteso
il mio Capitano Caduto morto, freddato.
O Capitano! mio Capitano! àlzati e ascolta le campane
; àlzati,Svetta per te la bandiera, trilla per te la tromba,
per teI mazzi di fiori,
le ghirlande coi nastri,
le rive nere di folla,
Chiamano te, le masse ondeggianti,
i volti fissi impazienti,
Qua Capitano! padre amato!
Questo braccio sotto il tuo capo!
É un puro sogno che sul ponteCadesti morto,
freddato.Ma non risponde il mio Capitano, immobili
e bianche le sue labbra,
Mio padre non sente il mio braccio, non ha più polso
e volere;La nave è ancorata sana e salva,
il viaggio è finito,Torna dal viaggio
tremendo col premio vinto la nave;
Rive esultate, e voi squillate, campane
!Io con passo angosciato cammino sul ponte
Dove è disteso il mio CapitanoCaduto morto, freddato.

-----------------------------------

sabato 14 marzo 2009

sull'amicizia

E un adolescente disse: Parlaci dell'Amicizia. E lui rispose dicendo: Il vostro amico è il vostro bisogno saziato. E' il campo che seminate con amore e mietete con riconoscenza. E' la vostra mensa e il vostro focolare. Poiché, affamati, vi rifugiate in lui e lo ricercate per la vostra pace. Quando l'amico vi confida il suo pensiero, non negategli la vostra approvazione, né abbiate paura di contraddirlo. E quando tace, il vostro cuore non smetta di ascoltare il suo cuore: Nell'amicizia ogni pensiero, ogni desiderio, ogni attesa nasce in silenzio e viene condiviso con inesprimibile gioia. Quando vi separate dall'amico non rattristatevi: La sua assenza può chiarirvi ciò che in lui più amate, come allo scalatore la montagna è più chiara della pianura. E non vi sia nell'amicizia altro scopo che l'approfondimento dello spirito. Poiché l'amore che non cerca in tutti i modi lo schiudersi del proprio mistero non è amore, ma una rete lanciata in avanti e che afferra solo ciò che è vano. E il meglio di voi sia per l'amico vostro. Se lui dovrà conoscere il riflusso della vostra marea, fate che ne conosca anche la piena. Quale amico è il vostro, per cercarlo nelle ore di morte? Cercatelo sempre nelle ore di vita. Poiché lui può colmare ogni vostro bisogno, ma non il vostro vuoto. E condividete i piaceri sorridendo nella dolcezza dell'amicizia. Poiché nella rugiada delle piccole cose il cuore ritrova il suo mattino e si ristora.

gibran

amore

Allora Almitra disse: parlaci dell'Amore. E lui sollevò la stessa e scrutò il popolo e su di esso calò una grande quiete. E con voce ferma disse: Quando l' amore vi chiama, seguitelo. Anche se le sue vie sono dure e scoscese. e quando le sue ali vi avvolgeranno, affidatevi a lui. Anche se la sua lama, nascosta tra le piume vi può ferire. E quando vi parla, abbiate fede in lui, Anche se la sua voce può distruggere i vostri sogni come il vento del nord devasta il giardino. Poiché l'amore come vi incorona così vi crocefigge. E come vi fa fiorire così vi reciderà. Come sale alla vostra sommità e accarezza i più teneri rami che fremono al sole, Così scenderà alle vostre radici e le scuoterà fin dove si avvinghiano alla terra. Come covoni di grano vi accoglie in sé. Vi batte finché non sarete spogli. Vi staccia per liberarvi dai gusci. Vi macina per farvi neve. Vi lavora come pasta fin quando non siate cedevoli. E vi affida alla sua sacra fiamma perché siate il pane sacro della mensa di Dio. Tutto questo compie in voi l'amore, affinché possiate conoscere i segreti del vostro cuore e in questa conoscenza farvi frammento del cuore della vita. Ma se per paura cercherete nell'amore unicamente la pace e il piacere, Allora meglio sarà per voi coprire la vostra nudità e uscire dall'aia dell'amore, Nel mondo senza stagioni, dove riderete ma non tutto il vostro riso e piangerete, ma non tutte le vostre lacrime. L'amore non da nulla fuorché sé stesso e non attinge che da se stesso. L'amore non possiede né vorrebbe essere posseduto; Poiché l'amore basta all'amore. Quando amate non dovreste dire:" Ho Dio nel cuore ", ma piuttosto, " Io sono nel cuore di Dio ". E non crediate di guidare l'amore, perché se vi ritiene degni è lui che vi guida. L'amore non vuole che compiersi. Ma se amate e se è inevitabile che abbiate desideri, i vostri desideri hanno da essere questi: Dissolversi e imitare lo scorrere del ruscello che canta la sua melodia nella notte. Conoscere la pena di troppa tenerezza. Essere trafitti dalla vostra stessa comprensione d'amore, E sanguinare condiscendenti e gioiosi. Destarsi all'alba con cuore alato e rendere grazie per un altro giorno d'amore; Riposare nell'ora del meriggio e meditare sull'estasi d'amore; Grati, rincasare la sera; E addormentarsi con una preghiera in cuore per l'amato e un canto di lode sulle labbra.

gibran